Tilt 500E Oxylane Decathlon

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La Tilt 500E Oxylane

Dopo due anni che non scrivevo nulla su questo blog finalmente riparto con un articolo sulle biciclette elettriche, con le quali ho sempre avuto un rapporto di amore/odio. Bellissime, comodissime, piacevoli, soprattutto quando si usano per andare in ufficio, come faccio io. Purtroppo fanno gola ai ladri, ne so qualcosa, questa è la terza. Pensare che una di queste, una bellissima Kalkhoff con motore centrale Panasonic, mi è durata una paio d’ore. Finalmente ho trovato un posto sicuro dove metterla, visto che nonostante tutto in Italia ancora molte aziende sono restie a permetterti di portare la bici in stanza al sicuro, e allora ho deciso, dopo due lunghi anni di “sperimentazione” con la bicicletta normale, di prendere la bicicletta elettrica Tilt 500E del Decathlon.

Tra le tante offerte di bici elettriche perché proprio su quella che sulla carta è la meno potente e con meno autonomia? E’ quella che costa meno, quindi in caso di furto il salasso non è da sbatterci la testa al muro, e la garanzia della catena sportiva che fino ad oggi non mi ha mai deluso. Ovviamente ho scelto una pieghevole così da poterla caricare sui mezzi qualora fosse necessario.

Specifichiamo le caratteristiche della bici:

  • Batteria da 187Wh – 24v e 7,8ah
  • Autonomia dichiarata a massima potenza 20km
  • Motore da 250w brushless
  • Coppia motore 26Nm

Insomma sulla carta non è proprio una top di gamma, questo va detto, ma è una bici onesta. Le preoccupazioni erano tante, soprattutto leggendo sui vari forum dove, spesso da chi non aveva mai provato la bici, venivano rilasciati giudizi davvero poco meritevoli su quello che la bici avrebbe potuto o non potuto fare. Ho visto video e letto recensioni (davvero poche a dire la verità) e alla fine mi sono convinto e l’ho presa.
Adesso che ho percorso 1.000km (2.000 li avevo già fatti con la pieghevole muscolare, sempre decathlon) posso tirare qualche conclusione e condividere la mia esperienza.

Sulla ciclabile del Tevere

COME VA LA BICI?

Spinge. Sempre. Bisogna però adattarsi alla nuova pedalata. All’inizio ho fatto fatica a riabituarmi, pedalavo tanto come sulla muscolare, anche per la paura di rimanere a secco vista la scarsa autonomia dichiarata. Quindi in pianura mi ritrovavo spesso ad avere un effetto elastico, con il motore che a 25km/h circa stacca (forse qualcosa meno), copro con le gambe la velocità superiore fino a che inevitabilmente rallento la cadenza e sento il motore riattaccare. Questo effetto elastico è durato parecchi km, ho sudato come su una muscolare normale, praticamente quasi non consumavo batteria, o così almeno credevo. Poi piano piano ho lasciato che il lavoro sporco lo facesse il motore, dandogli tanto aiuto con il cambio, soprattutto nelle ripartenze e in salita, ma mettendo subito la sesta marcia non appena presa velocità. Ci sono alcune recensioni proprio sul sito del venditore di gente che parla di motore che “blocca” la pedalata. Quello a cui si riferiscono è sicuramente dovuto al fatto che il motore fino a 23-25km/h è li che spinge, quando stacca se non hai una gamba che tiene la cadenza da 25 orari, ovviamente la bici rallenta, per poi tornare a spingere subito dopo. L’effetto elastico di cui sopra. Buttatevi su una discesa e vedrete che il motore non frena proprio niente.
Per quello che mi riguarda non sudo più, non arrivo “stanco”, il tutto è diventato estremamente piacevole. E soprattutto non c’è più la giornata dove sei stremato di tuo e devi pure pedalare per tornare a casa, poiché la bici ti ci porterà con il minimo sforzo. Anche dopo 5 giorni di lavoro, il venerdì, quando le mie gambe con la muscolare cedevano alla fatica.

COME VA IN SALITA?

Questo è sempre stato il vero dubbio prima di acquistare la bici. Per chi come me vive a Roma, la città dei sette colli, avere una bicicletta in grado di superare salite impegnative senza soffrire ma soprattutto di non sudare, è il nodo gordiano. Non posso che ritenermi soddisfatto. Va premesso che con la batteria appena staccata dal caricatore la bici ha una marcia in più. La salita di via Quattro Novembre che i romani conoscono bene, non è un problema, la faccio in 5 per non sforzare troppo il motore e scaricare la batteria, ma la bici in 6 andrebbe su lo stesso.
La salita di via Veneto si fa in 5, ma anche qui generalmente uso la 4 per non far fare tutto il lavoro alla batteria, perché anche questa salita è abbastanza tosta.
Insomma di esempi potrei farne davvero molti, ma sappiate che la bici sale, soprattutto con la batteria appena caricata. E che succede quando si comincia a scaricare? Niente, sale lo stesso, perde spunto nelle ripartenze, ma una volta avviata non ci sono problemi, al massimo si scala ancora una marcia.
Ovviamente se si pretende che la bicicletta salga da sola fingendo di pedalare avete sbagliato prodotto. A Roma è pieno di bici cinesi che mi sorpassano senza sforzo, ma anche senza pedalare. Questi sono motorini, io cercavo una bicicletta, a me pedalare piace.

QUANTO DURA LA BATTERIA?

Preciso subito che, proprio a causa dei dubbi e delle cose che ho letto sui vari forum, ho comprato due caricatori. Uno a casa, uno in ufficio. In questo modo la bici non arriva mai a scarica completa e non ho nemmeno provato quanto effettivamente sia capace di macinare in termini chilometrici. Sul mio percorso di 15km andata e 15 al ritorno, il massimo che ho fatto è stato 17km facendo appositamente un giro più lungo. Sotto casa, in garage, la bici segnava ancora tre tacche su quattro. E qui vorrei aprire una parentesi su quello che è l’indicatore della batteria, che è ridicolo, ma svolge in maniera adeguata il suo lavoro. Sostanzialmente è un indicatore di sforzo. A batteria piena segna sempre 4 tacche, dopo qualche km e soprattutto in salita comincia a indicare quanto la batteria ci sta mettendo e quanto ci state mettendo voi. Capita ad esempio che a fine tragitto, quando affronto una salita le lucine si spengano quasi tutte tranne una, per poi tornare tutte accese come ricomincia la pianura. Lo faceva anche la vecchia Bebike 5, sempre decathlon, la prima che mi hanno rubato, che con solo 10ah, tra l’altro, ha percorso 60km quando a 30 sarebbe dovuta morire.
Ah, dimenticavo, uso sempre la modalità di assistenza massima!

DIFETTI (perché ovviamente ci sono)

La luce in dotazione è comoda, serve però solo a non farsi schiacciare dalle auto, perché essendo poco potente in alcune zone completamente buie le buche prima le sentiamo e poi le vediamo. Ne ho presa una aggiuntiva che usavo anche sulla vecchia pieghevole che fa davvero tanta luce. Ad ogni modo per la maggior parte dei casi è sufficiente quella della bici soprattutto in città e su ciclabili ben illuminate.

Gli pneumatici sono antiforatura, dicono, ma io ho già forato due volte. La seconda foratura per fortuna avvenuta sotto casa e ho rimpiazzato lo pneumatico in dotazione con il vecchio Schwalbe Marathon della vecchia bici. Farò lo stesso con la posteriore all’occorrenza. Obbligatorio avere sempre dietro la bomboletta con la schiuma.

La bici da chiusa non si spinge (attenzione a chi dice trascina, la bici va spinta dal sellino nel senso di marcia, non trainata come un trolley). Questa è una cosa da tenere bene in considerazione al momento dell’acquisto. Rispetto alla vecchia Bfold non c’è proprio paragone. Il motivo l’ho capito però. I fili, quando è piegata, tirano parecchio essendo ben incanalati per non dare fastidio. Cosi il freno posteriore si chiude e la bici non va. Questo difetto tende a minimizzarsi con l’utilizzo, ma di fatto c’è. Bisognerebbe sganciare il freno posteriore prima di chiuderla per non avere problemi. Resta però il manubrio non proprio comodo perché esterno e bloccato con un micragnoso magnete.

La potenza della luce originale.
La luce aggiuntiva comprata a parte
Gli pneumatici in dotazione.

La batteria non è ancorata. Ebbene si, ogni volta che la parcheggiate dovrete sfilarla e portarla via con voi, altrimenti lo farà qualcun altro. Non ho questo problema dovendola sempre caricare, ma se la perdete di vista per molto tempo è una considerazione da fare.

Purtroppo la bici non è ammortizzata e sebbene anche sui sanpietrini non sia drammatico pedalare, quando la strada è molto sconnessa è una gatta da pelare, tanto che spesso sulla ciclabile della Nomentana gli ultimi km li faccio in strada piuttosto che sulla “pista” che è un’accozzaglia di sanpietrini messi alla bell’e meglio. Il mio timore è che il telaio (garantito a vita) possa cedere come quello della Bfold, che si è aperto, strappato, forse proprio a causa di queste continue sollecitazioni.

Il sellino non è estraibile. Ha un dado di sicurezza per evitare il furto, ma nel dubbio ci ho messo una catena di quelle da 10 euro, giusto per scoraggiare il malintenzionato. Rispetto alla Bfold quantomeno il sellino non scende e non devo stringerlo a morte.

La media della pedalata su 17km con grafico.

CONCLUSIONI

Sono molto soddisfatto della Tilt 500E anche se, come ho già detto, avessi avuto la possibilità di portarla in ufficio avrei preso una bici più performante. Non di molto, perché tutto sommato la bici non sfigura con le altre che incontro nei miei viaggi di andata e di ritorno. C’è ovviamente chi mi supera (spesso fingendo di pedalare), alcuni monopattini mi passano senza problemi, ma le medie orarie rispetto alla bici muscolare sono passate da 16-18km/h a 21km/h sempre, ogni giorno, senza cali, mentre prima c’erano delle giornate in cui arrivavo a casa stremato e con medie di 14km/h, guadagnando anche 15 minuti a tratta. Magari avrei preferito una batteria che invece di “allentare” lo spunto intorno ai 10km del percorso lo tenesse almeno fino ai 20, ma è comunque un problema trascurabile, perché la bici ci mette solo qualche istante di più a farti sapere che sta partecipando alla pedalata ma ti fa capire che su di lei puoi sempre contarci. E’ una buona bicicletta elettrica.
Scorre bene, si guida bene, mi fa scaricare lo stress nell’andare e nel tornare dall’ufficio e finalmente, cosa davvero più importante se per voi la bici è un piacere, posso scegliere il tragitto da fare in base all’umore e al tempo, senza dover necessariamente fare il più corto e meno faticoso.

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Ritorno alla pellicola 35mm

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La pentax Mx con la pellicola Ilford

Alzi la mano chi della mia generazione,nato alla fine degli anni ’70, non si è trovato a chiedere ai propri genitori di lasciargli scattare una fotografia ma sentirsi rispondere con un rifiuto secco!
Non tutti i genitori sono stati cosi avari di pellicola, e per fortuna mio padre non era uno di quelli. Era comprensibile però che molti lo fossero. La pellicola costava, lo sviluppo pure, e quindi ogni scatto andava centellinato, studiato, ripensato. Alle volte si rinunciava tenendosi il colpo in canna per momenti migliori.

A quei tempi per me la fotografia era una cosa da grandi, troppo distante dagli interessi di un bambino scapestrato e poco paziente, ma capace di incuriosirmi quando vedevo la meticolosità che ci metteva mio padre mentre scattava le sue foto. Vederlo affrontare i sentieri di montagna con una borsa fotografica pesantissima, con dentro le sue amate Pentax Mx e Pentax ME Super, grandangolari, teleobiettivi perché “e se incontrassimo una marmotta?“, una telecamera persino, di quelle che al giorno d’oggi vedi in spalla solo ai cameraman in tv, mi sembrava folle, ma ero abbastanza curioso da chiedere il permesso di fare una foto magari alla mia sorellina, o al fiore a bordo sentiero che in quei momenti mi sembrava essere la più bella stella alpina.

Così a distanza di 40 anni, dopo aver rispolverato entrambe le macchine fotografiche analogiche che avevo in casa, ho deciso di percorrere la strada della pellicola per vedere se effettivamente l’analogico conserva ancora quel fascino che i vecchi fotografi spesso rimpiangono.

Il primo rullino, un Ilford Hp5 Plus 400 asa, bianco e nero, è finito dritto nella Pentax Mx. La scelta del bianco e nero è venuta fuori dopo una discussione con l’amico Marco Pantanella, fotografo di vecchia data che da sempre unisce la passione per la montagna a quella per la fotografia, e che è riuscito ad immortalare l’orso marsicano quando le raffiche erano un lusso per pochi. Insomma uno che la sa lunga sull’argomento. Fu proprio lui che, intuìto l’utilizzo che avrei fatto dell’analogico, ovvero concentrarmi sui ritratti dei miei figli, mi consigliò di puntare ad una pellicola con asa abbastanza elevati che restituisse una decisa granulosità alla foto.

Dal primo scatto allo sviluppo sono passati mesi. Esatto, mesi. Cinque per l’esattezza. Questo perché come ho detto all’inizio, le foto vanno ricercate, studiate. Bisogna essere sicuri che lo scatto valga la pena, che le condizioni di luce siano ottimali, che effettivamente quella foto poi la metteremo in un album o in una cornice. Quindi ho cercato di scattare prevalentemente in occasioni speciali o in vacanza. E nonostante tutte le accortezze alcune foto le ho sbagliate alla grande; esposizione in una, messa a fuoco in un’altra. Ma del mio primo rullino di 36 pose almeno una buona metà sono foto da conservare, e tre, scelte tra le migliori, le ho messe in cornice, perché riuscite proprio bene e non potevo non valorizzarle dandogli un posto d’onore in casa.

Comprato un altro rullino, stessa marca e modello, a settembre 2018 inizio a scattare di nuovo in 35mm, stavolta con la Pentax Me Super, macchina più moderna e superiore sotto certi aspetti rispetto alla sorella maggiore, come ad esempio l’esposimetro che presenta molti più led e concede quindi più margine di movimento. Anche stavolta mi sono concetrato sui ritratti, affidandomi all’ottimo Asahi Pentax 50mm 1.7, una lente straordinaria, nitida ed incisiva, maneggevole e non troppo pesante, che consiglio di usare anche con adattatore sulle vostre reflex digitali.

Sottoesposizione nella foto in alto a sinistra. Esposizione accettabile in alto a destra. Esposizione corretta in basso.

Stavolta i risultati sono stati meno soddisfacenti del primo rullino. Molte foto sono risultate sottoesposte. Un mea culpa è d’obbligo. Sicuramente molte delle foto venute male sono sottoesposte perché le ho sbagliate io. Spero però che anche l’esposimetro ci abbia messo lo zampino. Questo perché foto fatte nella stessa condizione di luce a distanza di qualche minuto o persino secondi, hanno restituito risultati diversi, quindi il dubbio mi è venuto, o forse sto solo cercando delle scuse per sentirmi meno mortificato! Confrontandomi con il negozio che ha eseguito sviluppo e stampa, ho dovuto ammettere gli errori e dovrò rimboccarmi le maniche per la prossima volta, cercando di esporre meglio.

Ma il bello della pellicola è proprio questo. Fino a che non hai in mano la foto non sai se sei stato un bravo fotografo oppure no. E’ evidente il vantaggio che hanno le reflex digitali, che danno la possibilità di controllare immediatamente lo scatto eseguito consentendoci di modificare l’esposizione o la messa a fuoco. E possiamo provare e riprovare fino a che non siamo soddisfatti del risultato.

Risultato che spesso non viene finalizzato in una stampa, ma finisce su hard disk pieni zeppi di fotografie che al massimo vengono pubblicate sui social network. E io guido la colonna di fotografi che hanno questo modus operandi, tranne che per le foto dei miei figli, ognuno con il proprio album personale che rappresenta la cronistoria della sua vita. Tutto il resto è nell’hard disk, in qualche social o nella casella email di qualche concorso fotografico.

Scattare in analogico mi piace. Il costo da sostenere non è così elevato come molti sostengono. Un buon rullino si può trovare sui 10 euro, e lo sviluppo si può fare per 16 euro. Qui però devo fare una distinzione fondamentale in base alla mia esperienza.
Premetto che prima di portare a sviluppare il rullino mi sono documentato abbasstanza. Scartata subito l’ipotesi dello sviluppo casalingo, sia perché non ho una stanza da dedicargli, tanto per cominciare, sia perché avere acidi in casa con bambini piccoli non mi sembrava la scelta più saggia che un padre potesse fare, ho deciso di rivolgermi a laboratori di professionisti.

Il primo rullino è stato sviluppato e stampato, per mia fortuna, da un laboratorio bianco e nero vecchia maniera, di quelli che fanno gli sviluppi sempre a mano. Questa fortuna è dovuta ad un errore assolutamente perdonabile del fotografo che aveva preso in carico il rullino, che dimenticandosi di farlo sviluppare, decise senza farmi pagare sovrapprezzo di mandarlo ad un laboratorio dedicato. I risultati sono stati ottimi.

La prima foto è stata stampata con il metodo semiautomatico, la seconda con il metodo manuale. Si nota chiaramente la differenza di contrasto e definizione a favore di quella sotto.

Ma quindi esiste un altro metodo di stampare la pellicola? Purtroppo si. E non tutti lo sanno, nemmeno io lo sapevo, l’ho scoperto dopo aver capito quale differenza di prezzo chiedono i veri laboratori artigianali rispetto ad una stampa fatta da una macchina, in modalità semi-automatica.

Quindi se da un lato c’è questa possibilità molto economica di far sviluppare i nostri rullini ad un costo contenuto e con risultati più che soddisfacenti (intendiamoci; le stampe non è che fanno schifo, ma rispetto a quelle fatte sotto ingranditore sono decisamente meno incisive e contrastate), dall’altro sappiate che chi vi chiede di più è perché molto probabilmente fa tutto a mano, come si faceva una volta, recuperando anche scatti esposti male, un pò come si fa ora con gli editor d’immagine, ma che nei processi semi-automatici NON viene fatto.(Ovunque abbia chiesto mi è stato risposto che nello sviluppo semi-automatico non c’è alcun tipo di intervento da parte del laboratorio per quanto riguarda contrasti o altri aspetti di elaborazione.)
Quindi quando prendete accordi per sviluppo e stampa accertatevi quale metodo verrà usato, specificate bene quello che chiedete per evitare di pagare di più per lo stesso procedimento che l’ottico sotto casa vi farà pagare la metà.

Qualche scatto del primo rullino, interamente sviluppato a mano!
Ci si può divertire anche con una analogica. Questo scatto è stato una sorpresa, avendolo visto solo qualche mese dopo.

Dopo quest’ultimo rullino sono indeciso se tentare la strada del colore con la nuova reflex analogica che ho da provare, una Yashica Fx-3 Super 2000, o continuare nella via del bianco e nero. Se qualche vecchia guardia o qualcuno più esperto di me in materia analogica volesse condividere le proprie esperienze nei commenti su quale pellicola utilizzare, sarebbe cosa davvero gradita.

Concludo consigliando a chi avesse a casa una anologica che è nascosta in qualche armadio a prendere polvere di tirarla giù, pulirla e rimetterla in sesto se necessario (ho scoperto solo dopo aver sviluppato le foto che la Pentax MX non chiudeva correttamente le tendine e una decina di scatti sono venuti rovinati da bande nere), perché sappiate che con 20 euro di spesa, tra pellicola e sviluppo/stampa potrete entrare in questo mondo che non smette di affascinare un fotografo la cui passione è sbocciata nell’era del digitale.

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Panasonic 20mm f1.7 ASPH

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Piccolo e compatto, luminoso, nitido da far spavento. Queste sono le caratteristiche che mi hanno fatto innamorare del Panasonic Lumix 20mm e che l’ha reso indispensabile nel mio corredo fotografico. Un pancake eccezionale che ogni possossore di m4/3 dovrebbe avere nella borsa fotografica. Peso contenuto, 100 gr per la prima versione, 87 la versione 2.0, di qualità costruttiva molto elevata.

Autofocus e Manual Focus

Il Panasonic 20mm non è famoso per il suo autofocus. Non è veloce e con poca luce a volte non aggancia subito il soggetto. Non è un handicap per il piccolo pancake visto l’utilizzo che ne faccio e che si fa con questa focale. Uso generico, street, ritratti non sono un problema. Non è proprio il più silenzioso tra gli obiettivi.
La messa a fuoco manuale è di tipo elettronico. Questo significa che ruotando la ghiera di messa a fuoco viene azionato il motorino di maf dell’obiettivo. La OMD ha l’utilissima funzione di zoomare automaticamente sul soggetto quando si mette a fuoco in manuale. In questo modo si può essere davvero precisi, ma la sensazione sempre uguale di questa ghiera che non arriva mai a battuta può essere fastidiosa se siete abituati alle vecchie maniere.
La distanza minima di messa a fuoco è di 20cm.

Autofocus del Panasonic 20mm sulla Em5 in modalità video

Resa ottica

Questa lente non dovrebbe mancare in nessun corredo m4/3. Può non piacervi la focale, la lentezza dell’autofocus, il colore quello che vi pare. Tutto si può dire del Panasonic Lumix 20mm tranne che sulla qualità ottica che è straordinaria. È talmente nitido che a volte devo smussare i difetti del volto in postproduzione. Lo adoro, è la lente che sta più di ogni altra incollata alla EM5, è un tuttofare che non tradisce mai. E questa sua straordinaria nitidezza comincia già a f1.7, quindi potete sbizzarrirvi a cercare sfocati interessanti. Per avere il massimo chiudete a f2.8 e vedrete di cosa è capace questo gioiellino.

Panasonic 20mm f4.5

Panasonic 20mm f4.5 – crop 100%

Panasonic 20mm f8.0

Panasonic 20mm f3.2 1600iso

Sfocato (Bokeh)

A me piace molto. Questa opinione non sempre trova pareri simili in amici fotografi che hanno la lente o hanno avuto modo di provarla. Lo ritengono nervoso e poco delicato. Io credo che sia capace di un ottimo sfocato, anche per le sue caratteristiche di messa a fuoco ravvicinata e apertura molto spinta. Qualche esempio:

Panasonic 20mm f2.2 bokeh

Panasonic 20mm f4.0 bokeh


Aberrazioni cromatiche, Flare e Vignettatura

Le aberrazioni cromatiche sono contenute, saltano fuori in situazioni di forte contrasto e a tutta apertura. Niente che non possa correggersi in post produzione, ma vanno comunque segnalate. Vignettatura davvero molto bassa che tende a sparire chiudendo il diaframma, gia a f2.8. Infine la resistenza al flare è buona, anche in situazioni di sole a piccolo.

Panasonic 20mm prova di resistenza al flare

Conclusioni

Sono da sempre un estimatore e sostenitore di questo gioiellino. Non delude mai, se si cerca la nitidezza pura. Certo bisogna avere pazienza con soggetti non proprio statici ma non crediate che sia come si legge in alcune recensioni che lo biasimano di essere troppo lento. L’autofocus è onesto, ma non è fulmineo.
Il Panasonic Lumix 20mm f1.7 vi garantisce il risultato anche a tutta apertura, lasciandovi cercare lo sfocato che più preferite. Compatto e leggero, accoppiato alla mia Em5 entra in un marsupio di piccole dimensioni. Portarlo con voi non sarà un problema.

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Olympus Omd Em-5

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Sono passati ormai quasi 4 anni da quando ho acquistato la mia Olympus OMD EM5, presa quando ancora avevo una Pentax K5 (e una Olympus Epl-2), e che ormai è diventata l’unica fotocamera del mio corredo. Per il periodo che le ho avute contemporaneamente ho potuto valutare i pro ed i contro di entrambe, magari alla fine farò un brevissimo resoconto di questo confronto. La Em5 è risultata la fotocamera adatta a me, e la K5 mi ha lasciato, seppure a malincuore.

Le principali caratteristiche della Em5 al lancio:

• Sensore Sony da 16 MP
• Corpo Tropicalizzato
• Stabilizzatore 5 assi
• Iso fino a 25600
• Raffica di 9 fotogrammi al secondo in S-AF( 4 in C-AF)

All’inizio ricordo che le prime cose mi sbalordirono furono la definizione e la precisione dell’autofocus. Non sbagliava un colpo. Assieme al Panasonic 14-45 la Em5 era ed è tutt’ora una fotocamera che non ha nulla da farti rimpiangere quando sei fuori a scattare fotografie. Autofocus rapido, preciso, qualità delle immagine notevole. Ero davvero contento della mia scelta e ho ricominciato a portarmi dietro la fotocamera ovunque, laddove prima spesso la K5 restava a casa, e non per colpa di peso e ingombri.

Sensore

La Olympus Em5 è l’ammiraglia che (finalmente) ha colmato il gap con le reflex classiche. Le mirrorless m4/3 hanno sempre avuto un’ottima qualità dell’immagine ma il loro problema era la tenuta agli alti iso. Il sensore piccolo rispetto ad un classico APS-C o ad uno FF presentava delle limitazioni notevoli per l’utilizzo oltre gli 800 iso, in alcuni casi anche 400 iso. La Em5 ha cambiato le carte in tavola. Dotata di sensore Sony da 16mp la sensibilità agli alti iso ha reso temerari gli utilizzatori del sistema m4/3, che potevano spingersi senza troppi problemi fino a 1600 ISO, anche oltre durante il giorno.

Non siamo ai livelli della K5 va detto subito questo (qui il confronto). Le ho avute entrambe e le ho provate in condizioni identiche. La K5 ha decisamente una marcia in più e può spingersi anche oltre il limite entro il quale la Em5 comincia a mollare. Però la maggior parte delle foto che ho fatto oltre 800 iso sono foto da album dei ricordi, foto dei miei figli, che vanno bene cosi come vengono.

Ho usato con soddisfazione iso superiori agli 800, fino ai 1600, anche nella fotografia naturalistica, per compensare la poca luminosità del Panasonic 100-300 e mantenere un tempo di scatto veloce. I casi riscontrati sono due. Soggetto lontano, crop necessario, foto quasi inutilizzabile. Soggetto a formato pieno, nessun problema, definizione che potrebbe migliorare ma sarebbe da fare un test con una lente pro o top pro.

Nell’esempio qui sotto sono stati usati ISO 2000, e a meno di non fare pixel peeping il formato pieno resta godibile. La foto non è lavorata.
– Raw non lavorato –


Autofocus

Fulmineo. In single auto focus, su punto singolo, la OMD è fenomenale. Tralasciando la velocità con alcune lenti che non sono famose per la loro rapidità (Panasonic 20mm), la Em5 non esita in condizioni di luce perfetta a mettere a fuoco in un istante. E con grande precisione. Finché c’è luce non ci sono grandi problemi, e a dire il vero non ho mai trovato difficoltà mettere a fuoco anche di sera, o di notte, con fonti luminose esterne. Magari può capitare che la EM5 non riesca ad agganciare subito il soggetto, in quel caso basta cambiare punto di messa a fuoco dove c’è più contrasto e il problema è risolto.

Il discorso cambia con l’autofocus continuo, che lascia a desiderare. Prendiamo il classico esempio del bambino che ti corre incontro. La prova l’ho rifatta proprio recentemente a scuola di mio figlio in occasione di una festa.
Ho provato tutte le modalità disponibili(C-AF, C-AF + TRACKING), tutti gli accorgimenti disponibili (contrasto, colori vividi) per aiutarla nella messa a fuoco. I risultati sono stati deludenti, non sono quasi mai riuscito a mettere a fuoco dove dicevo io. Va un po’ meglio con soggetti distanti e che si muovono orizzontalmente, si riesce a portare a casa qualche scatto migliore, ma l’autofocus della Em5 non è fatto per soggetti troppo veloci, me ne sono fatto una ragione.

Questa garzetta è stata scattata usando l’AF-C, ma usando la raffica. Uno scatto fortunato perché non era ancora in volo pieno.

Stabilizzatore 5 assi

Questo è un capolavoro che nessuna altra macchina poteva vantare quando è uscita sul mercato la Em5. I risultati sono incredibili. Più avete mano ferma più la Olympus vi aiuterà quando vorrete scattare con iso basse e tempi lunghi. Personalmente non sono riuscito a scattare mai con tempi lunghissimi come alcuni millantano, tipo 1” di esposizione, ma 1/15 o 1/10 quello si, con una nitidezza di tutto rispetto.

Dove però ho riscontrato il maggior beneficio di questo stabilizzatore è nei video. Sembra di avere una steady cam tanto che anche in montagna, camminando, riesce a controbilanciare in maniera eccellente il movimento ondulatorio della fotocamera (e io sono veramente una frana in quanto a mano ferma.

Non va usato insieme allo stabilizzatore sulla lente, come nell’ultima Em1 II, ma solo ed esclusivamente il 5 assi del sensore per ottenere i risultati migliori.

Promosso a pieni voti.

Un filmato fatto in montagna, anche camminando, senza aggiungere stabilizzazione in post produzione e senza l’ausilio di un treppiede.


Touch Screen e Mirino Elettronico

Altro punto di forza della ormai ex ammiraglia di casa Olympus è il touchscreen, che trovo comodo e utile. Può essere disabilitato, usato per la sola messa a fuoco, oppure clicchiamo dove vogliamo mettere a fuoco e scatta la foto con un unico tocco. Definizione molto buona anche alla luce diretta del sole, il touchscreen è semovibile sebbene non possa roteare. Consente comunque di scattare fotografie con la macchina completamente poggiata in terra o in qualche posto rialzato. Basta inclinare lo schermo, toccare dove vogliamo mettere a fuoco ed il gioco è fatto.

Il mirino elettronico non mi ha mai fatto storcere il naso ne rimpiangere il mirino ottico. Ci sono tanti motivi per cui amarlo. Il primo fra questi è la possibilità di vedere come sarà la foto ancora prima di scattarla (ombre troppo chiuse e luci bruciate), rendersi conto di come la fotocamera reagisce all’esposizione, guardare l’istogramma e regolarsi di conseguenza. A posto dell’istogramma possiamo scegliere anche la livella elettronica, per aiutarci con la messa in bolla dell’orizzonte.

File: Raw o Jpeg?

Un altro grande pregio della Em5 è il jpeg OOC, quello che crea la macchina. Ho persino ridotto la nitidezza di un punto dalle impostazioni perché fin troppo nitido. Incredibile avere dei file di qualità già pronti all’uso nella maggior parte dei casi. Se vogliamo farli proprio brillare dobbiamo agire sui livelli, dargli un po’ di contrasto e basta. Non serve niente altro. Ho lasciato il contrasto in camera e tutti gli altri parametri sul valore predefinito (tranne appunto la nitidezza) per avere un jpeg più neutro possibile.

I raw della Em5 sono di circa 15 mega l’uno, non ci sono problemi nella lavorazione con molti software in commercio, il recupero delle luci e delle ombre è eccellente grazie alla buona gamma dinamica di cui la Em5 dispone. Alcuni software blasonati applicano automaticamente le correzioni camera/obiettivo direttamente nella gestione dello sviluppo del RAW, altri necessitano ancora della spunta e selezione.

Quando uso il raw e quando il jpeg? Direi che il jpeg viene usato nel 70% delle mie foto. Viaggi, bambini, eventi. Tutti in jpeg. E’ ottimo, consente qualche correzione e recupero, nitido, colori molto buoni come da tradizione Olympus.
I raw li uso generalmente quando so che la foto dovrò lavorarla per tirarne fuori il meglio, come un’alba, un tramonto, un lavoro su commissione.

Jpeg diretto senza modifiche.(Panasonic 20mm, 1/1000s, F4.5, iso 200)


(Panasonic 20mm, 1/1600s, F4.5, iso 200)

Accessori

Col tempo ho aggiornato non solo le lenti ma anche il parco accessori della Olympus, arricchendola del Battery Grip che è composto da due pezzi separati che possono essere usati in maniera disgiunta. Il primo pezzo del grip è una impugnatura più ergonomica che aumenta sensibilmente le dimensioni della Em5 ma ne rende l’ergonomia decisamente più piacevole, e offre l’utilizzo di un’ulteriore ghiera di comando. Il secondo pezzo che non può essere usato singolarmente va a completare l’impugnatura rendendola la classica e grande impugnatura professionale che aggiunge un pulsante di scatto in più, una ghiera e due pulsanti funzione. Dispone inoltre di uno slot aggiuntivo per un’altra batteria che si va a sommare in quella presente nel corpo macchina. Ora la nostra piccola Em5 è davvero grande e maneggevole, sebbene possa apparire forse un po’ sgraziata soprattutto se vengono montati obiettivi pancake di piccole dimensioni. Il B.G. è utilissimo quando si fa fotografia naturalistica, l’impugnatura è solida e si riesce a mantenere più stabile l’accoppiata macchina/lente. (testato con Panasonic 100-300 la stabilità generale ne guadagna notevolmente)

Il piccolo flash in dotazione non è eccezionale, ma fa il suo sporco lavoro di schiarire le ombre a patto di non trovarsi troppo lontani dal soggetto, vista la poca potenza a disposizione. Si monta sulla slitta classica del flash, non è integrato dunque nel corpo macchina come lo è nelle aps-c. Questo a volte è scomodo, dover tutte le volte montare o smontare il flash con tutti i micro gommini che ha è fastidioso e a rischio smarrimento. Ormai è da molto tempo che lo lascio montato fisso sulla EM5.

Il treppiede è il fidato compagno di ogni fotografo, soprattutto quando dobbiamo scattare fotografie con tempi di posa molto bassi. La Em5 è molto leggera e grazie a questa sua caratteristica non abbiamo bisogno di treppiedi giganti e pesanti. Ultimamente uso con soddisfazione un treppiede di quelli snodabili, della Rollei, pagato 14 euro su amazon, che fa il suo dovere senza problemi.

Qui il treppiede della Rollei in azione sugli scogli di Termoli.

Il risultato ottenuto utilizzando il treppiede Rollei. (Panasonic 14-45, iso 100, F9, 5s, Filtro ND 8)

Conclusioni

E’ il momento di tirare le somme. La Pentax era una grande reflex, ma aveva un difetto. L’autofocus. Non parlo di velocità, ma di precisione. Tornavo a casa con scatti che pensavo fossero perfetti e poi a monitor mi rendevo conto che erano sfocati o con il fuoco dove non volevo io. A nulla sono servite le tarature innumerevoli di fronte a fogli di giornale appesi al muro. Questo non si è mai verificato con la Olympus OM-D EM-5. Ed è stato questo e solo questo il motivo che mi ha fatto dare via la K5, che dapprima volevo affiancare alla Olympus, ma che poi passava più tempo nel cassetto che fuori all’aria aperta.

Successivamente mi sono accorto di tantissimi altri vantaggi che una fotocamera di queste dimensioni ha sul campo. Uno su tutti è l’ingombro. Montate il Panasonic 20mm o il Panasonic 14mm e sarete contenti di aver fatto tante belle foto in giro per il mondo senza che il vostro collo vi abbia maledetto. Le escursioni in montagna sono un esempio lampante. L’ultima volta che ho portato la K5 in montagna me la ricordo ancora bene. A Lago Vivo, nel Parco Nazionale d’Abruzzo, Lazio e Molise. Tra la K5, il Tamron 17.50 2.8, il Tamron 70-200 2.8 per fotografare i cervi, il treppiede grande per sostenerla.. questo tipo di sacrificio non esiste più. Adesso entra tutto dentro un piccolo marsupio.

Tutte lenti della Om-D Em-5 si trovano sull’usato ad un prezzo accettabile restando nella fascia base e pro. Il rapporto prezzo/qualità è davvero invidiabile soprattutto di alcuni piccoli gioiellini dal prezzo contenuto e la definizione di alto livello. Non è ancora entrata nel mio corredo una lente tropicalizzata, e quindi non ho mai potuto testare pienamente la tropicalizzazione della Em5. Nonostante questo in più di un’occasione l’ho usata sotto l’acqua e non ho mai avuto problemi. La Olympus si è sempre dimostrata una fotocamera solida e resistente, l’ho sempre trattata senza troppi riguardi, stando attento a non rovinarla ma non avendo remore a poggiarla su sassi, momumenti, terriccio per ottenere lo scatto che mi interessava. Lei non si è mai lamentata.

Attualmente il mio corredo fotografico è composto da:
Panasonic 14-45
• Olympus 40-150R II
Panasonic 100-300
• Olympus 45mm
• Panasonic 20mm

Ormai sono usciti nuovi modelli e la Em-5 si trova sull’usato a prezzi davvero competitivi per quello che offre. Vi consiglio di cercarne una se volete tanta qualità a prezzo concorrenziale. Mancano chiaramente le nuove funzionalità presenti sui nuovi modelli top di gamma, ma per ora non sento il bisogno di cambiare fotocamera, sebbene ogni fotografo abbia sempre voglia di provare nuovo materiale, nuove lenti, nuovi corpi macchina.
Sono estremamente soddisfatto della mia piccola Olympus e non posso che consigliarne l’acquisto a chiunque.

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Panasonic 100-300 e fotografia close-up

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Ho voluto sperimentare le qualità del Panasonic 100-300 non nella fotografia naturalistica stavolta, ma nei close up, approfittando di una giornata uggiosa per rifugiarmi nel laboratorio di mio cognato, liutaio, per cercare di realizzare scatti interessanti di quello che è il suo mondo. I risultati sono davvero soddisfacenti, sebbene bisogna posizionarsi molto distanti dal soggetto.

Ecco qualche esempio con Em-5 su cavalletto:

Le foto di questo articolo sono state tutte elaborate e ridotte per il web. Lo faccio sempre.
La Olympus Em-5 è impostata con nitidezza -1.
Scatto direttamente in JPEG alla massima qualità.

Questa primaverà cercherò di realizzare qualche macro come si deve. Vi terrò aggiornati! 🙂

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Panasonic Lumix G 100-300mm f/4.0-5.6 Mega OIS

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Garzetta

300mm @F7.1, iso 200, 1/800sec

Le foto di questo articolo sono state tutte elaborate e ridotte per il web. Lo faccio sempre.
La Olympus Em-5 è impostata con nitidezza -1.
Scatto direttamente in JPEG alla massima qualità.

 

Per il micro 4/3 non ci sono molte alternative se si vuole fare fotografia naturalistica o chiamatela se volete “caccia fotografica”. C’è il Panasonic Lumix G 100-300 f/4.0-5.6 Mega OIS di cui parlo in questo articolo e l’alternativa M.Zuiko Digital ED 75-300mm f/4.8-6.7 II (rivisitazione del primo modello). In arrivo a breve sul mercato due nuove lenti, di fascia di prezzo nettamente superiore alle due citate. Sono il Panasonic Lumix 100-400 f/4.0-6.3 e l’Olympus M.Zuiko 300 f/4.0 PRO.

Ho acquistato il Panasonic Lumix 100-300 usato, a buon prezzo. L’ho preferito rispetto allo M.Zuiko ED 75-300 II per lo stabilizzatore ottico e l’apertura maggiore, nonostante la velocità di AF sembra essere migliore sulla lente Olympus. Non avendoli potuti confrontare vi rimando ad una lettura comparativa su altri siti.

Tornando al nostro buon Panasonic Lumix 100-300 mi ritengo molto soddisfatto dei risultati che ottengo, ma devo fare delle precisazioni per chi è interessato ad acquistarlo. Nella fotografia naturalistica si dice spesso che i mm non sono mai abbastanza. Questo è vero, se si fanno fotografie dal capanno di qualche oasi, ma con i propri posatoi o capanni mobili la vera differenza la fa la distanza alla quale possiamo avvicinarci al soggetto. In questo caso abbiamo una equivalenza di 600mm come “gittata” del nostro Lumix rispetto ad una reflex Full Frame.

Garzetta2

300mm @F7.1, iso 200, 1/800sec

Innanzi tutto per ottenere buoni risultati sfrutto il Mega OIS piuttosto che lo stabilizzatore 5 assi della mia Olympuys Om-D Em-5, ho fatto una prova e preferisco senza dubbio il Mega Ois, confermando che al crescere dei mm è preferibile avere uno stabilizzatore direttamente nell’ottica. Renato Greco ha realizzato un video per mostrare le differenze tra le stabilizzazioni.

Scatto quasi sempre ad almeno F7.1 o superiore, apertura dalla quale la lente, nella mia esperienza, restituisce il massimo della nitidezza. Per cui sappiate che dovrete avere una buona luce, in modo da poter chiudere fino a F9.

I tempi di scatto devono essere rapidissimi, soprattutto a 300mm per evitare il micromosso. Imposto sempre la macchina in modalità M con ISO automatici, fino ad un massimo di 1600 iso. Misurazione Spot, ovviamente. Oltre non credo convenga andare, la qualità complessiva ne risente. Settata un’apertura di almeno F7.1 cerco il tempo di scatto più veloce possibile che tenga gli iso fermi a 200. Quando cala la luce, piuttosto che aprire di più e scendere a F5.6, apertura massima della lente, abbasso il tempo di scatto facendo salire gli iso.

Kingfisher

275mm @F7.1, iso 1000, 1/800sec

Infine ho notato come molti altri prima di me che da 270mm in su la resa scende un pò, ma niente di irrecuperabile, sebbene spesso le foto più nitide non siano alla massima escursione focale. L’autofocus è molto preciso finchè il soggetto è abbastanza vicino, non delude nemmeno a distanza purché il soggetto sia di grandi dimensioni. Lo trovo veloce, soprattutto nel rimettere a fuoco ad infinito, sebbene non abbia come già detto prima riscontri con la lente Olympus.

Tutte le foto di questo articolo e della galleria sono state scattere direttamente in Jpeg. Quasi un sacrilegio non scattare in raw, eppure la mia Olympus Om-D Em-5 mi permette di levarmi qualche soddisfazione utilizzando direttamente il Jpeg in macchina, impostato sulla migliore qualità con Nitidezza -1 che poi rielaboro per contrasti e colori, riducendo in formato Full HD, ottenendo a mio giudizio ottimi risultati. Scriverò due righe sull’argomento, in un prossimo futuro.


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Riserva Naturale Diaccia Botrona

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Riserva Naturale della Diaccia Botrona – Fenicotteri

Sabato pomeriggio, nel cuore della Maremma, vado a fare qualche foto nella Riserva Naturale della Diaccia Botrona, tra Castiglione della Pescaia e Marina di Grosseto.
C’erano tantissime specie, il problema è che il primo capanno in cui sono stato era davvero troppo lontano. Non riuscivo nemmeno con 600mm ad avere un volatile che occupasse più di 1/4 di fotogramma. Poi ho scoperto l’esistenza di un altro capanno, tra l’altro anche meglio attrezzato, dove c’erano due simpatici fotografi, credo padre e figlio, che mi hanno aiutato ad identificare tantissime specie.

Tutte le foto sono state realizzate con Olympus Om-D Em-5 ed obiettivo Panasonic Lumix 100-300. Alcune, come il Piro Piro sono dei crop, vista la distanza davvero notevole a cui si trovavano quasi tutti i soggetti fotografati.

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Different field of view of m4/3 lenses

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I made this test for me, but maybe it could be interesting for all of you who are not sure about what lens to buy considering focal lenght.

I have used my Panasonic 14-45 to simulate lower focal lenghts and Olympus 40-150R for higher focal lenghts. I will do another test in an open area, which i thinks is much more realistic than this matrioska on the table.

In the gallery below you will find:

14mm
17mm
19mm
20mm
25mm
30mm
45mm
60mm
75mm
150mm

This should cover about all primes but not 12mm which i don’t have. Sorry.

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Pentax K5 vs Olympus EM-5 high iso test

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This is not a professional review. Just a few pics taken with different cameras at high iso sensibility.

Pentax K5 + Asahi Pentax 28mm f3,5 M (old manual lens)
Olympus EM5 + Panasonic 14mm 2.5

Both lenses were used in Manual Focus mode, with white balance set to Tungsten, Fstop 3,5. Both cameras shot in jpeg with all noise reduction set to OFF.

Let’s start!

First picture, mixed objects:

Pentax K5 6400iso
k5_6400
Em5 6400iso
Em5 6400 Iso

K5 6400 iso 100% Crop
k5_6400_crop_vw
EM5 6400iso 100% crop
Em5 6400 Iso 100% crop

Test 2, a cat 😀

K5 6400 Iso
k5_6400_susy
EM5 6400 iso
OLYMPUS DIGITAL CAMERA
K5 6400 iso 100% crop
k5_6400_susy_crop
EM5 6400 iso 100% Crop
Em5 6400 Iso 100% crop

K5 12800 iso (to me K5 does much well on susy’s fur, colors are more accurate)
k5_12800_susy
EM5 12800 iso
Em5 12800 Iso

And finally, just to push my K5 to the limit i tried a 25.600 iso shot:

K5 25.600 iso
k5_25600_susy
K5 25.600 iso 100% crop
k5_25600_susy_crop

So what about m4/3 sensors can’t handle high iso? It’s not a secret anymore, but this is just another example. And please, do tell me that you ALWAYS shoot over 6400 iso, because of course you do! 😉

Gallery here:

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Frisbee Dolomites MTB

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Questa estate a San Martino di Castrozza ho “approfittato” di uno degli innumerevoli pomeriggi di pioggia (ma quando non è piovuto questa estate? -.-) e ho noleggiato una bici a pedalata assistita.

La MTB provata dovrebbe essere una Frisbee Dolomites:

frisbee_00019

Ottimo il sistema che gestisce le bici. Ti da sempre la più carica del lotto, nel mio caso avevo tutte le tacche meno una. Come monto in sella inizia a diluviare. Mi tocca aspettare quasi 30 minuti che la pioggia diminuisca di intensità. Poi si comincia a pedalare.

L’assistenza è pronta, parte quasi immediatamente, la spinta è vigorosa grazie ai 37v. Non so dire quando il sistema stacchi, non ho il tachimetro quindi non ho punti di riferimento. Credo i classici 25km/h.

La bici è molto robusta, gli pneumatici sono grandi e mi hanno dato sicurezza, su asfalto, su sterrato (dovrebbero essere dei Kenda antiforatura). Consideriamo che era tutto bagnato, quindi ottimo. In alcuni punti sono persino passato in mezzo al fango con lo pneumatico quasi completamente sommerso. Per non parlare delle innumerevoli radici bagnate. Anche la frenata non era malvagia, considerando anche che il freno posteriore era praticamente quasi finito, dato che immagino sia il più usato dalle famiglie o da chi si avventura per la prima volta.

frisbee_00001

Dal centro del paese mi sono diretto a Malga Ces che dista circa 3 km. Subito incontro una salita e subito mi accorgo della generosità del motore, che mi costringe a scalare marcia solo nei tratti più impegnativi e a metterci parecchia gamba. Ho trovato scomodissimo l’acceleratore. Poi ho scoperto che la bicicletta ha un pulsante che “blocca” l’assistenza su ON fino a che non si frena o si smette di pedalare, quindi finalmente ho potuto liberare la mano destra e viaggiare con molta più naturalezza, soprattutto in salita.

frisbee_00004

Pedalo senza una meta precisa. Giro, giro, pedalo. Ogni tanto mi fermo, faccio una foto. (alla fine del giro credo di aver fatto almeno 25km). La bici sui falsopiani è un treno. Quando devo togliermi d’impaccio per non mettere i piedi nel fango ad esempio, basta un colpettino di gas e l’assistenza ti tira via, questo fino a che non ho scoperto come lasciarla sempre attiva. Sono riuscito persino a far staccare del tutto l’assistenza del motore su una lieve salita sterrata, che ho fatto con la marcia più alta.

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Non so quantificare quanti km abbia percorso complessivamente. Ho girato su e giù per un paio d’ore, non di più. Ho preso la bici alle 15.30, sono partito effettivamente alle 16.00 causa pioggia, e alle 18 circa l’ho riconsegnata esausta. Ma veramente ho esagerato, ho girato senza fermarmi mai. Sono rimasto davvero soddisfatto di questo bellissimo giro e dalla bici. La batteria è durata il giusto. Non era completamente carica (10ah) ma non ho nemmeno fatto dislivelli proibitivi, di solito c’erano stacchi impegnativi e falsopiani, ma al ritorno c’era tutta discesa, a motore spento. Ho sempre usato l’assistenza massima.

Ottima bici quindi nel complesso,ma proprio non riesco a digerire l’acceleratore, che trovo scomodissimo. Mi auguro ci siano modalità del tutto automatiche da attivare con i pulsanti sul display, ma questo non saprei dirlo non avendo avuto modo di leggere alcun manuale, e all’APT non hanno saputo darmi informazioni in merito. Il display indica la carica ma è come quello della mia vecchia bebike. In salita i pallini scendono, per poi tornare alla carica reale quando non si è sotto sforzo. Wattometro, credo si chiami così.

 

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